La storia delle sopracciglia fino al microblanding

Tutti dicono che gli occhi siano lo specchio dell’anima, ma cosa comunica di più le emozioni se non le sopracciglia? È  soprattutto grazie ad esse che il nostro volto assume un’espressione malinconica, austera o sorpresa. Contribuiscono a definire il nostro sguardo, la nostra identità. 

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Nel corso del XX secolo le sopracciglia hanno subito varie trasformazioni, influenzate dai look delle icone di stile cinematografiche che, pur di risaltare tra i toni graffianti della pellicola, sperimentavano qualsiasi forma e colore che potesse accrescere l’intensità del loro sguardo. 

I ruggenti anni ’20 sono caratterizzati dall’emancipazione delle donne, dalle jazz bands, dal blues e dalla nascita del divismo cinematografico. Lo stile è più androgino, sfavillante e anche provocatorio. La donna, stanca dei corsetti limitanti dell’epoca precedente, inizia ad assumere atteggiamenti di ribellione. Fuma, si trucca e frequenta locali alla moda.

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Il trucco anni ’20 prende ispirazione dal teatro. Le sopracciglia vengono allungate nel tratto discendente per conferire languore allo sguardo, focus delle pellicole silent. I primi prodotti per le sopracciglia vengono lanciati sul mercato e nasce l’azienda Maybelline.

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Il drama look degli anni 30 era un must per trasmettere emozioni sullo schermo. L’austerità delle dive è perfettamente raccontata da queste sopracciglia asciutte e ad arco, talvolta rasate e riprogettate.

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Negli Anni 40 il sopracciglio si inspessisce e diventa per alcuni volti più spigoloso, evidenziando un punto d’altezza che avrebbe donato uno sguardo suggestivo e glamour.

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Negli Anni 50 iniziarono a calcare di più sopracciglia e bordatura dell’occhio, rendendole più squadrate e intense.

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Negli anni 60, le sopracciglia hanno diverse tendenze: continua quella spessa alla Hepburn di metà anni 50, e quella totalmente naturale alla Twiggy o più spesse alla Edie Sedgwich verso la fine del decennio. Nel frattempo troviamo quella super strutturata ma dall’aspetto naturale di Sofia Loren, la quale rasa l’arco sopraccigliare ridisegnandolo completamente con piccoli tratti, anticipando il microblanding.

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Che siano sottili o lasciate crescere naturali, le sopracciglia, negli anni 70, lasciano spazio al make up sugli occhi passando in secondo piano.

Negli anni 80, le nuove Dive appartengono al mondo della Pop Music e della Televisione. Stiamo parlando di Madonna e Brooke Shields. Le loro sopracciglia folte, intense e selvagge sono il nuovo must per essere al passo con i tempi.

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Negli anni 90 coesistono diverse mode. La ricerca della forma pulita e perfetta era la più richiesta. È stato il periodo di “uso folle delle pinzette” di cui si è risentito qualche anno dopo.

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Con l’avvento del 2000, si vogliono sopracciglia pulite, perfette, con un punto d’altezza evidente che apre ed armonizza lo sguardo. Ma la vera novità arriva negli anni 10 del 2000, quando sulle scene della moda compare Cara Delevingne con un sopracciglio presente, fresco ed immediatamente moderno.

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Oggi è tornato il mito della “femme fatale” in una versione social ed emancipata, quasi mascolina. La donna del 2019, con la sua bellezza enigmatica e selvaggia, più che sedurre, ipnotizza. In questo contesto, le sopracciglia non possono che essere in primo piano, volutamente spettinate e folte.

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Per chi non le possiede naturalmente, oggi è nato il microblanding, ovvero una tecnica di tatuaggio in cui viene utilizzato un piccolo strumento portatile, composto da diversi piccoli aghi, per aggiungere un pigmento semi-permanente alla pelle.

Dopo il successo che ha avuto questo trattamento ed essendo io stessa reduce dallo “spinzettamento folle” di fine anni 90, ho deciso di sottopormici anche io. Dopo tante ricerche, mi sono affidata a Vasilica Lupulescu, che opera a Milano e Prato.

Ho scelto lei perché i suoi lavori sono molto naturali e sono stata veramente soddisfatta del risultato. Ma soprattutto, finalmente posso dire addio alla matita, che usavo compulsivamente ogni mattina.

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A MUST VISIT FOR EVERY MOVIE-LOVER: The Eye Filmmuseum, Amsterdam

“The Eye Filmmuseum” è uno dei musei più interessanti che abbia mai visitato. Incuriosita dal nome, che include due delle mie più grandi ossessioni (gli occhi ed il cinema), mi sono immediatamente diretta a nord di Amsterdam per visitarlo.

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Per cominciare, per accedervi è necessario prendere un traghetto dalla stazione centrale per attraversare il canale. E’ gratis, la traversata dura solo cinque minuti e puoi portare dentro la bici. Occhio quando esci dal traghetto perché i cittadini di Amsterdam potrebbero augurarti il peggio se, quando il traghetto approda, loro schizzano via pedalando e tu non sei sulla fila dei pedoni. Per i lettori olandesi potrebbe non essere una novità, ma per i turisti è buono a sapersi, io vi ho avvisato.

Consigli a parte, il museo è diviso in due parti, una storica e l’altra dedicata al cinema sperimentale. La parte storica ti fa letteralmente immergere negli illusori, psicadelici movimenti dei più svariati arnesi che producevano i primi video. Oltre all’esposizione delle cineprese d’epoca, ciò che ha catturato la mia attenzione è stata una stanza scura dalle mura interamente digitali, divisa in zone-postazioni. Quando muovi il perno di una delle postazioni, tutte le immagini lungo il perimetro della stanza prendono vita: avviene il miracolo del cinema, e tu hai l’onore di muoverlo.

La parte sperimentale è quella che ha decisamente rubato il mio cuore: costruita come un labirinto di sale cinematografiche, ti fa perdere in una dimensione dello spazio, del tempo e dello sguardo che pensavi non esistesse. I film sono lenti, quasi statici, astratti e futuristici. Sembrano concetti più che video. Sono proiettati su muri  per lo più scuri, di dimensioni e forme alle quali non siamo abituati e con prospettive che penetrano nella tua mente e sconfinano nel tuo inconscio.

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Un esempio è l’immagine che ho allegato qui sopra. Il film mostra una donna che mangia una pannocchia non con l’aiuto delle sue braccia, bensì con quello di un macchinario futurista. Idea semplice, ma astratta. Ciò che colpisce è, più che il soggetto, la frammentazione dello spazio sul quale è proiettato. La reinvenzione dello spazio e dello sguardo. In definitiva, lo sconfinamento in un’altra realtà.

Il museo è dotato anche di un meraviglioso bar-ristorante con una gigantesca vetrata che affaccia sul canale che porta al centro di Amsterdam. Un’esperienza spaziale-sensoriale sotto ogni punto di vista.

Sons of Anarchy, vieni a volare col nero

Amore che scaturisce dal peccato. La serie televisiva statunitense narra le vicende di un club di motociclisti chiamato Sons of Anarchy ed è ambientata nella città immaginaria di Charming, California. Fondato da John Teller, fantasma che continua a vivere nel figlio Jax, il club nasce per l’amore in comune per le harley, la fratellanza e affari inizialmente leciti. L’avidità e la fame di potere che divorano lentamente la carne fresca dei loro cuori li portano ad intraprendere affari illegali, quali il traffico di armi e il trasporto di droga. Alla morte del fondatore, la presidenza passa al personaggio più combattuto, che più ha oscillato tra l’amore estremo ed il peccato abissale, Clay Monroe, patrigno di Jax.

Ecco, è proprio con questa dicotomia che la serie ci inietta nelle vene la sua verità sull’umanità, è qui che risiede la sua bellezza. L’essere umano viene denudato da ogni coerenza e mostrato quale è, imperfetta e amorevole contraddizione. Inizialmente Jax, sulla scia del padre, cerca di opporsi alla violenza, ma gli scontri tra gang lo portano sempre di più a sporcarsi le mani e l’anima di sangue. “E così, all’improvviso, non sei più sulla strada. Ci sei dentro… Sei parte di lei. Traffico, paesaggio, polizia, tutte figurine di cartone che si sfaldano al tuo passaggio”. L’odio, come un uccello nero sul davanzale della tua finestra, ti guarda dritto negli occhi leggendo i tuoi peccati e l’unica redenzione possibile è bruciare ancora più ardentemente. La famiglia e la fratellanza sono le uniche cose a cui aggrapparsi e che spesso, bruciano con te.

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La serie tv di casa FX, ideata da Kurt Sutter, è una delle più sottovalutate di sempre dalla critica ufficiale (giurie di Emmy e Golden Globe) ma i personaggi, così carnali, bizzarri, crudi, fraterni, marchiano irrimediabilmente di nostalgia i cuori di chi li ha visti evolvere, cadere e morire: Opie, il ragazzo perduto che sposa una pornostar dopo la morte della donna che amava; Tig, affetto da pediofobia (paura delle bambole) e i cui occhi caleidoscopici si accendono di perversione alla vista di un transessuale; Gemma, madre di Jax e del club, la cui vocazione è proteggere la sua famiglia, non importa a quale costo. Una cicatrice profonda calca il suo seno, sede dei segreti più oscuri.

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Perciò, appassionati di serie tv e di eroi caduti, non potete perderla!